sabato 28 marzo 2009

Il modello atomico a strati

Modello atomico a strati di Rutherford.

Rutherford attorno al 1911 pose una lamina d’oro in una camera a nebbia contenente il polonio, elemento radioattivo che decadendo libera particelle. Si accorse che alcune delle particelle emesse dal polonio deviavano il loro percorso solo grazie ad un ampliamento dello schermo, da qui realizzò il suo nuovo modello di atomo che superò quello precedente di Thompson, infatti, realizzò che le particelle che deviavano il loro percorso erano poche proprio perché erano poche quelle particelle che incontravano nel tragitto una carica positiva, di conseguenza pensò che la carica positiva fosse addensata completamente nel nucleo dell’atomo stesso, mentre considerò il resto dell’atomo vuoto, nel quale alloggiavano gli elettroni che avendo carica negativa ruotavano intorno al nucleo. Ruttherfor commise un errore proprio qui, infatti quest’ultima affermazione venne negata più avanti dal danese N. Bohr; è comunque rimasto invariato al modello di atomo più recente il fatto che ci sia un nucleo di carica positiva. Bohr era riuscito a rendere conto sul piano teorico di quella stabilità degli atomi che il modello di Rutherford non forniva; in più spiegava anche la costanza degli spettri emessi dalle varie sostanze, cioè dai vari " edifici atomici ". Nello spettro si trovano tutte le frequenze consentite per i vari tipi di atomi, perché in ogni atomo gli elettroni si trovano a certi livelli energetici tipici e consentiti per ogni elemento.La sua teoria fu un'importante combinazione dei principi della fisica classica con ipotesi che contrastavano con essa e che derivavano come generalizzazione dalle ipotesi di Planck e di Einstein. Il modello atomico "quantizzato" da Bohr non spiegava tuttavia la diversa intensità delle righe spettrali caratteristiche degli elementi e il loro stato di polarizzazione; si limitava al calcolo delle frequenze delle righe spettrali. Ecco allora il principio di corrispondenza enunciato da Bohr sulla base di una constatazione: se si calcola la frequenza emessa da un salto d'orbita minimo, è indifferente servirsi dei metodi classici o di quelli quantistici; il risultato è sempre lo stesso. Esperienza e calcolo collimano quando cioè si scelgano condizioni limite. Si poteva quindi formulare l'ipotesi che l'intensità e lo stato di polarizzazione di una riga corrispondano all’intensità ed allo stato di polarizzazione della riga corrispondente, che verrebbe emessa dal sistema secondo la teoria classica. Bohr osservò che un elettrone che ruota intorno ad un nucleo deve rispettare certe particolari condizioni dinamiche ed energetiche; questi limiti si possono riassumere in due teoremi:
- un elettrone può descrivere intorno al nucleo solo una successione discreta di orbite, nel senso che non tutte le orbite sono permesse (quantizzazione delle orbite) ;
-quando un elettrone percorre una data orbita in contrasto con le leggi dell’elettromagnetismo non irradia energia. Solo a seguito di una transizione da un orbita ad un’altra si ha una variazione del contenuto energetico dell’atomo (quantizzazione dell’energia).

Secondo Bohr la quantizzazione delle orbite e quindi dell’energia possono essere espresse mediante la relazione:
- non giustificava il mancato irraggiamento degli elettroni costretti a ruotare intorno solo ad alcune orbite;
- non dava alcuna informazione sull’intensità delle righe degli idrogenoidi (oltre all’idrogeno sono atomi degli elementi leggeri ionizzati in modo da aver perduto tutti gli elettroni eccetto uno)
- difficoltà nell’estendere il modello ai sistemi formati da più di un elettrone;
- non c’era alcun criterio razionale per ripartire gli elettroni nelle loro orbite.

Nessun commento: