giovedì 2 aprile 2009

aranciata senza arance...

Per bere ci vuole immaginazione, dice la legge. Altrimenti non esisterebbe la categoria giuridica delle «bevande di fantasia», quelle sembrano ciò che non sono, doppiogiochisti analcolici come le aranciate che non hanno mai visto un agrume in vita loro. È un genere ammesso in Europa che anche l’Italia si appresta a accogliere nei suoi bar. Il Senato ha già detto «sì», ha approvato la scorsa settimana l’abolizione della quantità minima di frutta che il drink deve contenere per derivarne il titolo, almeno il 12% di limone per una limonata e via dicendo. In ogni caso se la norma passerà, per difendere il nostro stomaco sarà bene leggere con attenzione le etichette. Le ditte virtuose avranno buon gioco nel precisare «tot per cento di arance vere». Però se c’è scritto «al sapore di» sarà meglio chiedersi se quello è proprio il liquido con cui abbiamo deciso di dissetarci. Lo garantiva una legge del ’61, secondo cui «le bevande vendute con denominazioni di fantasia, il cui gusto ed aroma deriva dal contenuto di essenze di agrumi, o di paste aromatizzanti di agrumi, non possono essere colorate se non contengono anche succo di agrumi in misura non inferiore al 12%». Le associazioni agricole del Bel Paese, dove si racolgono ogni anno 120 milioni di chili di arance, sono infuriate. Temono di non ripetere il colpo dello scorso anno, quando la lobby verde ha convinto l’Ue ad accantonare il dossier. «La sostituzione del succo con coloranti è un inganno per i consumatori, e pone dubbi sugli effetti per la salute, dato che molte di queste sostanze sono oggetto di studi per il loro supposto effetto negativo sui bambini». La disposizione comunitaria è cauta. Da un lato elimina il vincolo per l’uso dei coloranti, dall’altro impedisce di chiamare «aranciata» una bibita senza arance. Certo i ministeri della salute hanno l’obbligo di controllare che non vi siano aggiramenti.

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